“Hai visto? Ce n’è uno nuovo”.
“Ah, sì, il bambino marocchino. E’ arrivato due, forse tre settimane fa.
Ho visto la celebrazione: hanno esagerato. Il padre, vedi? Lì sul vialetto si è buttato a terra, in ginocchio, e tutti i parenti urlavano anche loro, intorno a lui. Noi preferiamo non fare così”.
“Forse è meglio così: sfogarsi molto quando succede e poi pensarci meno…
Mi ha abbagliato la targhetta, il sole si riflette ed è come uno specchio, lancia dei raggi accecanti, come per richiamare l’attenzione di chi passa…”.
“E sotto il nome c’è la firma di chi l’ha fatta… mi sa che non avevano soldi per la celebrazione. Gliela avranno donata. Figurarsi se li avevano per farla nel loro paese…”
Non che non sia successo di recente anche ai nostri, ma qui dentro ora è forse l’unico così, un bambino straniero.
“Cosa c’è scritto sulla targhetta argentata?”
“Mohamed, N.M. 23/04/2016”
Ciao, piccolo.
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