Orybal's weblog

free your soul

La mia tesi: cap.2 – Iniziative rivolte agli zingari nel nostro secolo

Capitolo 2

Iniziative rivolte agli zingari nel nostro secolo

2.1 La persecuzione e lo sterminio sistematico nazista

And because J am happy & dance & sing,

They think they have done me no injury,

And are gone to praise God & his Priest & King,

Who make up a heaven of your misery.

William Blake, Chimney Sweeper

Nel XX secolo la sopravvivenza si fa un compito sempre più arduo per il popolo zingaro come per quello ebraico: fra gli scienziati europei iniziarono a circolare nuove idee, che svolsero la funzione di propellente per l’esplosione dell’evento più tragico e vergognoso della storia europea. Lombroso fondò quella corrente dell’Antropologia Criminale che assumeva le caratteristiche fisiche come indizi esterni delle condizioni mentali di un individuo. Teorizzò l’esistenza di intere razze “dedite più o meno al delitto”.

Nel 1922 il “certificato antropometrico” inventato da Lombroso fu introdotto nello stato tedesco del Baden, come obbligatorio per gli zingari. Anche in Francia fu reso obbligatorio dal 1912 il cosiddetto libretto antropometrico, che, secondo la testimonianza di alcuni zingari francesi, era composto di 62 pagine con foto del possessore scattate da varie angolazioni, impronte digitali e molto spazio per i timbri degli ufficiali pubblici. In Francia questo documento fu soppresso solo nel 1969.

Il giudice napoletano Alfredo Capobianco scrisse Il problema di una gente vagabonda in lotta con la legge, pubblicato a Napoli nel 1914, dove propagava l’idea che i criminali “cronici”, “ereditari” come gli zingari, non potevano essere rieducati, solo eliminati. Lo stesso concetto propagò Lucas riguardo al popolo dei portoghesi.

Galton, invece, aveva fondato nel 1869 la corrente di pensiero detta eugenetica, che giudicava l’evoluzione in base a “intelletto, zelo, dedizione al lavoro”. Si può affermare che “l’eugenetica diede rispettabilità all’igiene razziale”1. Già nel 1899 esisteva a Monaco una Zigeunerpolizeistelle, poi nel 1929 trasformata in Ufficio Centrale per la lotta alla piaga zingara. Le autorità prussiane iniziarono un rilevamento di massa delle impronte digitali degli zingari. Si provvedeva a diffondere notizie diffamanti che giustificavano l’inferiorità razziale degli zingari, basandole su prove pseudoscientifiche, e si scatenava l’insofferenza popolare affermando che gli zingari rappresentavano un costo sociale troppo alto per la finanza pubblica, perché erano troppo prolifici e partorivano negli ospedali tedeschi. In seguito iniziarono le prime deportazioni degli zingari ai campi, con accusa di “asociali”, insieme a detenuti politici, omosessuali e testimoni di Geova.

Eva Justin, collaboratrice di Ritter, nel 1935 visitò i campi con intenzioni umanitarie e ne uscì dicendo che bisognava proteggere la razza tedesca da contaminazioni di queste persone, “che sono un pericolo a causa della loro più o meno grande debolezza di carattere e della loro cattiva natura; hanno costante bisogno di essere guidati e sostenuti”, mentre “il popolo tedesco ha bisogno di uomini solidi e zelanti e non della numerosa discendenza di questi primitivi irresponsabili”2. Affermò che bisognava smettere i tentativi di educarli, e invece sterilizzarli , perché “il destino fissato ereditariamente dalla nascita non può essere cambiato per queste persone, né dall’influenza dell’ambiente, né dall’educazione, né dalle punizioni”3. Nel 1935 venne promulgata la Legge per la difesa del sangue tedesco.

In Austria il decreto del 4 settembre 1938 proibiva la frequenza scolastica dei bambini zingari. Vi furono ricorsi al Ministero della Scienza, dell’istruzione e dell’educazione popolare, che rispose il 15 giugno 1939 con circolare E II 624/39 come segue: “In quanto questi bambini, a causa del loro comportamento morale e comunque diverso, possono costituire un pericolo per i loro compagni di sangue tedesco, possono essere esclusi dalla scuola”4. Il passo successivo a questo atteggiamento politico fu l’internamento ad Auschwitz, fra il 1943 e il 1944, di 3923 zingari austriaci, dei quali il 42% erano bambini.

Anche l’Interpool fece sue queste idee e nel 1936 fondò il Centro internazionale per la lotta contro la piaga degli zingari. E’ del 1938 la Prima legge anti – zingari, che chiedeva la loro schedatura con l’obbligo di portare un cartellino marrone, e la denuncia immediata di chi “sembri zingaro”. Viene ristretta di molto la libertà di circolazione.

Iniziava a farsi strada l’idea che l’unica soluzione fosse la loro eliminazione, perciò i nazisti si posero il problema di come giustificare la inferiorità degli zingari, giacché appartenevano chiaramente al ceppo indoariano. Himmler iniziò uno studio per tentare di individuare il “grado di purezza” nei vari gruppi zingari, e illuse i Sinti e i Lalleri, definiti “zingari indigeni”, che si sarebbero salvati, li rese complici dello sterminio incaricandoli della selezione degli altri, i non – puri.

Nel marzo 1942 gli zingari vennero deportati in massa ad Auschwitz. A Ravensbrück erano iniziate le sterilizzazioni delle donne e delle bambine zingare. Morirono di setticemia o furono usate per esperimenti pseudoscientifici. Schilling, a Dachau, fece su cento zingari gli esperimenti della malaria. Anche ad Auschwitz il “dottor” Epstein li usò per atroci torture “scientifiche”. Mengele si occupò dei bambini, usandoli negli esperimenti sul cancro Noma e sul tifo, e, d’intesa con ditte di medicinali come la Bayer o la Pharma, li fece sottoporre a radiazioni Roentgen. Perché furono scelti gli zingari? Perché nessuno, Stato o gruppo, si sarebbe lamentato per loro.

Già dal 1942 furono dati i primi ordini di sterminare tutti gli zingari presenti nei campi.

Nemmeno nei Paesi occidentali gli zingari poterono sottrarsi alla deportazione. In Francia, a Poitier, dove erano rinchiusi 365 ebrei e 454 zingari, il gesuita Jean Fleury ci narra come gli zingari lo aiutarono a far uscire dal campo di concentramento un centinaio di bambini ebrei. In questo campo operavano anche due maestre, le signorine Huber e Richard, che istruivano i bambini e che si unirono alla loro sorte quando nel 1943 donne, bambini e vecchi giunsero ad un altro campo francese con Padre Fleury, mentre uomini e ragazzi furono portati allo sterminio5. Altri religiosi intervennero a Montreuil-Bellay per fornire assistenza morale e spirituale, denunciando poi ai vescovi le condizioni igieniche disumane e l’alimentazione inadeguata di cui erano stati vittime i bambini.

Nel campo di Jargeau si pose il problema della scolarizzazione dei bambini nomadi internati, che non erano mai stati a scuola e ignoravano la lingua francese. I bambini divennero per il governo francese, come affermò Pascal Vion, “un capitale di interesse nazionale che conviene abituare alla civilizzazione e quindi prima educare”6. Esistono testimonianze di sevizie corporali su bambini e adulti internati in questi campi: i bambini venivano chiusi in prigione – una cantina sotterranea piena di topi e scarafaggi – per far sì che i genitori non fuggissero dal campo durante i bombardamenti. Questi campi, affidati al regime di Vichy, furono gli ultimi ad aprirsi, nel 1945. Alcuni zingari rimasero nella zona del campo di concentramento, per paura di essere arrestati di nuovo come nomadi e perché alcuni desideravano che i bambini proseguissero la scolarizzazione iniziata al campo7.

Nei campi di Malines in Belgio e di Westerbock in Olanda le condizioni igieniche erano spaventose: stare in questi campi per gli zingari arrestati in Francia era come stare nell’anticamera della morte8.

In Italia gli zingari furono a lungo ignorati dal governo fascista: si puntava più sulla persecuzione politica che razziale. Ma nel 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra, si iniziò a prevedere l’internamento dei profughi ebrei del Reich, rifugiatisi in Italia a Ferramonti di Tarsia (CS). In questo campo il direttore, commissario Paolo Salvatore, affermava di lasciare fare agli internati quello che volessero, purché fossero salve le apparenze e gli venissero evitati fastidi e richiami dal Ministero degli Interni9 ed essi “organizzarono un’infermeria, una scuola, una biblioteca, laboratori artigianali, centro culturale e sportivo, sinagoghe, parlamento e giudici propri”10. Qui giunsero anche otto zingari.

Altri zingari furono internati a Bolzano, a Foligno (Collefiorito), nel manicomio dell’Aquila, a Isernia, a Tossicia (Teramo) insieme a ebrei, apolidi, stranieri. Nelle isole Tremiti e in Sardegna furono deportati e poi abbandonati alla loro sorte. Di Tossicia, Jane Dick Zatta11 raccolse testimonianze di zingari che erano autorizzati dal direttore a raggiungere il paese vicino per chiedere cibo: il problema maggiore era la fame, più che i maltrattamenti. Molti zingari addirittura si consegnarono spontaneamente ai militari italiani per salvarsi dai massacri degli ustascia croati. Dopo l’8 settembre 1943 i Carabinieri non organizzarono il loro trasporto in Germania, ma li lasciarono fuggire verso le montagne, dove stavano i partigiani.

Morirono circa 500.000 zingari nei lager nazisti. Non si contano quelli fucilati o annegati dalla Feldgendarmerie, dalla GESTAPO, dalle SS, dalla polizia polacca, dai fascisti ucraini e dai feroci ustascia croati. Secondo la testimonianza di Daniel Stefanski, in Polonia “per risparmiare munizioni hanno sfracellato le teste dei bambini contro gli alberi”12

Dopo la guerra non fu loro fatta giustizia: non furono chiamati a Norimberga, e le richieste di risarcimento vennero per anni respinte. Il Tribunale di Norimberga inserì nella sentenza “poche frasi di malinconica saggezza”, come afferma Poliakov: “Non fu fornita nessuna spiegazione circa il motivo per cui questo popolo inoffensivo che, nel corso dei secoli, ha donato al mondo, con musica e canti tutta la sua ricchezza, dovesse essere braccato come un animale selvatico. Pittoreschi negli abiti e nelle usanze essi hanno dato svago e divertimento alla società, l’hanno talvolta stancata con la loro indolenza. Ma nessuno mai li ha condannati come una minaccia mortale per la società organizzata, nessuno tranne il nazionalsocialismo che per bocca di Hitler, di Himmler, di Heydrich, ordinò la loro eliminazione13.

2.2 Le istituzioni caritative del Dopoguerra

Dal 1926 in Svizzera la Pro Juventute, fondazione caritativa privata, patrocinata e sovvenzionata dal Consiglio Federale, attraverso l’Oeuvre de Secours aux Enfants de la Grand-route, avvicinava le famiglie nomadi che vivevano in roulotte per elencare loro i vantaggi di affidare i loro figli a istituti dell’ente. Di fronte a un rifiuto dei genitori, strappava alle famiglie i bambini e li rinchiudeva in istituti, appellandosi alle leggi – che erano e sono sempre in vigore nel Paese – che vietavano di vivere in stato di concubinaggio, di vivere in roulotte, di dormire genitori e figli nello stesso locale, e alle leggi di protezione dell’infanzia e della salute pubblica. L’assenteismo scolastico era una delle maggiori ragioni invocate per strappare i bambini ai loro genitori e giungere al più presto possibile a privare i genitori della patria potestà14.

L’unica forma di difesa che poterono adottare i nomadi, privi di istruzione e di denaro sufficiente per ricorrere ai tribunali, fu l’entrata in clandestinità e soprattutto il diffidare e il non mandare i figli a scuola, perché la scuola era stata il principale informatore della Pro Juventute.

Si può attualmente stimare che il 30% dei bambini jenisch15 svizzeri furono strappati a forza alle loro famiglie. Ogni contatto con i genitori veniva loro proibito: si diceva loro che i genitori erano morti16 o gli si mostravano lettere di rinuncia ai propri figli, anche se i genitori erano analfabeti. Venivano affidati a contadini senza alcun intervento di tribunali e parecchie ragazze furono sterilizzate17. Il dottor Sigfried voleva dimostrare che il quoziente di intelligenza dei bambini jenisch era molto al di sotto della norma e che l’aggressività di questi bambini era molto al di sopra della norma, studiando bambini strappati al loro ambiente, collocati in orfanotrofi o, se più grandi, in case di correzione e in prigione18.

Il risultato di tanto accanimento fu che, ai fini della sedentarizzazione forzata dell’etnia, oggi la Svizzera si ritrova ad aver a che fare con un gruppo di disadattati, che non possono rientrare nei gruppi di jenisch perché non sono stati socializzati in quella cultura e perché è stata insegnata loro la vergogna delle proprie origini, e che rifiutano la società sedentaria per quel che ha fatto loro.

Solo grazie alla lotta, iniziata nel 1960 da due donne zingare, Mariella Mehr e Lovari Zori Müller, si è ottenuto nel 1973 la chiusura della sezione per i figli della strada della Pro Juventute, ma la ricostruzione delle famiglie intentata dal governo è ormai un’utopia.

2.3 Altre iniziative per i figli della strada

Nell’Italia del dopoguerra gli zingari, come tanti altri, apparivano sbandati e impotenti. Monsignor Dino Torreggiani di Reggio Emilia istituì allora tre case di raccolta in ville patrizie, già destinate ad accogliere i profughi di guerra. Accolse nella casa della Divina Provvidenza – Ardiccio Tamassia a Badia Polesine (RO) i figli dei nomadi, a Villamaria, a Treviso, i figli delle genti dello spettacolo viaggiante e dei circensi e nella casa di Scandicci (FI) gli anziani dello spettacolo viaggiante.

La casa di Badia Polesine nacque per assicurare ai fanciulli nomadi, più che un’istruzione, un tetto e una famiglia. Allora, nel 1955, molti dei bambini raccolti erano orfani o molto ammalati. Si voleva assicurare loro amore e protezione, creando un clima di familiarità e di benessere. L’Istituto viene definito, da chi vi lavora, come un’opera di assistenza e beneficenza privata, un Istituto Educativo Assistenziale, casa convitto per i minori Rom e Sinti, creato da un gruppo di laici e sacerdoti che si sono impegnati in un servizio per gli emarginati19. Rispondeva, quindi, all’ingiunzione cristiana di aiutare i “bisognosi” perché sono figli di Dio anche loro e “sono gli ultimi di cui parlava il Vangelo”20.

Don Dino Torreggiani invitava le comunità cristiane ad essere più accoglienti in nome della loro fede. Spiegava loro che “questa comunità che capitava lì occasionalmente non era una disgrazia, ma un dono di Dio per animare lo spirito missionario, per ricevere forse anche qualche cosa che lo Spirito Santo manteneva ancora in quelle anime ingenue, che hanno l’astuzia di tutti i bambini, di tutti quanti i primordiali, ma che hanno anche delle ricchezze che sono meravigliose”21.

Inizialmente furono quasi sempre i genitori a chiedere il ricovero, per la fiducia che avevano in don Dino. Ma col tempo si ebbero affidamenti dovuti ai parenti o alle Autorità, poiché aumentarono – con lo sviluppo industriale della società italiana – i casi di grave disgregazione familiare.

L’Istituto non voleva avere personale preparato pedagogicamente, se non alcuni maestri per il doposcuola, perché i fondatori credevano maggiormente nella pedagogia del cuore della gente semplice22. Il professor Giuseppe Flores D’Arcais dell’Università di Padova, tuttavia, ribatteva: “vogliamo maestri sensibili, maestri pronti, maestri aperti, maestri che vivono in pieno la vita nella dimensione religiosa, ma maestri anche[…] preparati, maestri che avvertono la psicologia del bambino”23. La maestra Maria Grazia Cattaneo, che lavorava nell’Istituto per fanciulli Sinti, racconta che si accorse, a causa delle prime difficoltà, che per educare veramente avrebbe dovuto conoscere un’altra cultura e perciò iniziò a documentarsi24.

L’Istituto si proponeva di “mostrare agli zingari che esiste anche un mondo di gente che li rispetta, che non li rifiuta, che li apprezza e li accetta come uguali fra uguali25e scelse di far loro frequentare le scuole pubbliche, affinché socializzassero con gli altri nella scuola, nel gioco e nella vita del paese, nello sport e in Parrocchia e venisse superata la diffidenza nei loro confronti. Tuttavia l’attuale direttore, il dottor Galleno, che ho informalmente intervistato, non nasconde che l’ostilità verso gli zingari anche nella comunità locale è stata sempre notevole e che si è evitato l’insorgere di reazioni di ostilità eccessive poiché la denominazione stessa, di Istituto per Fanciulli Sinti, celava ai più l’origine di questi bambini.

L’allontanamento dalle famiglie, che essi rivedevano soltanto nelle vacanze, favoriva l’accettazione (in chi sapeva che erano bambini zingari) poiché i bambini finivano per acculturarsi, per adattarsi ad essere come i bambini della maggioranza: ossia venivano accettati in quanto non sembrano più zingari, come se essere zingaro si riducesse all’essere sporco, ladro e bugiardo e non significasse, invece, far parte di un popolo con un’identità culturale propria. Ho raccolto lo scorso anno testimonianze di giovani Rom che raccontavano la loro esperienza, non terribile ma poco piacevole, risalente all’infanzia passata nell’Istituto e di recente ho ascoltato madri Rom minacciare i loro figli con lo spauracchio dell’affidamento al “Collegio” di Badia Polesine.

Nonostante i buonissimi propositi con i quali l’istituzione di Badia è sorta e il positivo lavoro che ha svolto, e che credo continui a svolgere come comunità alloggio per bambini provenienti da famiglie bisognose o a rischio, la mia impressione è che quest’esperienza educativa rivolta ai bambini zingari si richiami alla stessa filosofia che reggeva i provvedimenti “educativi” di Carlo III di Spagna, di Maria Teresa d’Austria o della Pro Juventute, i fondatori stessi si sono rassegnati al fatto che al popolo Rom possa essere garantito rispetto solo se accetta l’assimilazione culturale, rinunciando a crescere i propri figli nella propria cultura.

2.4 Le prime scuole speciali per gli zingari in Italia

Le prime classi dedicate espressamente ai fanciulli zingari vennero aperte in zone d’Italia dove gli zingari erano sedentari, ma ancora esclusi dalla frequenza in classi normali, ossia al Sud: nel 1959 a Pescara nella Caserma Cocco, (dove vivevano baraccate parecchie famiglie zingare), il provveditore agli Studi istituì una classe differenziale, che durò fino al 1962; dal 1960 al 1962 ne funzionò una pure a Vasto, sotto forma di corso popolare, per iniziativa di alcuni volontari.

Nel 1961 anche a Roma, dove sono soliti accamparsi zingari provenienti da tutta l’Italia, vennero aperte due classi di recupero presso le scuole G. Cagliero e D. Chiesa.

Dal 1959, invece, Mirella Karpati iniziò a conoscere gli zingari accampati a Bolzano, con l’intento di offrire loro assistenza ed educazione. Racconta: “nel 1961 iniziavo un’esperienza educativa fra gli zingari nomadi dell’Alto Adige, dopo due anni di contatti con le famiglie e di studi specifici che trovarono una prima formulazione nel mio libro Rómano them – Mondo Zingaro. Nelle ore libere dal lavoro scolastico mi spostavo di carovana in carovana nei dintorni di Bolzano”26.

La prima delle scuole speciali per bambini zingari chiamate Lacio Drom27 nacque, appunto a Bolzano, nel 1962, quando don Bruno Nicolini, allora cappellano degli zingari, propose al direttore didattico Pradi di concedere un’aula nella scuola “Tambosi” nel quartiere di Oltrisarco per una sperimentazione educativa rivolta all’integrazione scolastica dei bambini zingari, che fino ad allora non avevano usufruito del diritto all’istruzione previsto dalla Costituzione italiana. Per questa iniziativa era stata offerta un’aula nel seminterrato della scuola, l’unica libera, e maestre sensibili al problema avevano iniziato a darvi lezioni. Un direttore didattico racconta come “all’inizio l’insegnamento venne svolto per mero spirito di apostolato educativo…(la maestra vi si dedicava nelle ore in cui era libera dal suo servizio nella scuola elementare normale)”28. Furono preparati gli esami a fine anno, poiché la scuola non risultava riconosciuta, e difficoltoso fu assolvervi l’aspetto burocratico, perché mancavano i certificati di nascita. I bambini superarono gli esami e furono inseriti nella scuola comune.

Nell’anno scolastico successivo la scuola fu riconosciuta dallo Stato come classe speciale sperimentale: il Ministero della P.I., mediante la stipula di una apposita convenzione con l’Opera Assistenza Nomadi, associazione di volontari riconosciuta come ente morale dallo Stato e di cui presidente era don Nicolini, decise l’istituzione di 11 classi di scuola speciale per l’anno 1965-66 in diverse regioni italiane.

Per la valutazione dell’esperienza, e per dare supporto agli insegnanti incaricati, si utilizzò la risorsa dei contatti già esistenti con l’università di Padova. In particolare, la dott.ssa Mirella Karpati comandata presso l’Istituto di Pedagogia dell’Università di Padova, aveva anche il compito di mantenere il collegamento con le scuole per zingari funzionanti in Italia; l’Istituto di Pedagogia dell’Università di Padova, di cui era direttore Giuseppe Flores d’Arcais, si assumeva l’incarico di curare mediante studi e ricerche scientifiche l’approfondimento scientifico dell’educazione dei bambini zingari, così concorrendo anche alla preparazione ed all’aggiornamento degli insegnanti di dette scuole speciali29. Già alla fine dell’anno scolastico furono raccolti i dati della prima ricerca e fu avviato il primo corso di specializzazione per 38 insegnanti delle scuole speciali per fanciulli zingari nella sede estiva dell’Università di Padova, a Bressanone.

Le classi Lacio Drom aumentarono di anno in anno: nel 1972 erano sessanta30. Anche l’istituto di Badia Polesine, di cui si è precedentemente parlato, aveva colto l’occasione per aprirne due.

Si era attuata l’intelligente proposta che il prof. Flores d’Arcais aveva fatto, di anticipare gli scrutini, di dare la possibilità agli scolari di superare le prove prima che cominciassero le grandi emigrazioni. Perciò in molte scuole gli scrutini erano stati fatti già a fine aprile, mentre le lezioni erano continuate fino alla fine di giugno31. Si era potuto così notare come si fossero avute presenze quasi totali dove gli scrutini erano statianticipati32. Quindi, il tanto deprecato assenteismo degli zingari non era dovuto a disinteresse, ma alla necessità concreta, di tipo essenzialmente economico, di spostarsi delle famiglie nomadi implicate in attività economiche collegate allo spettacolo viaggiante o alla vendita ambulante o alla raccolta di frutta (specialmente in Spagna), settori molto attivi proprio a partire dall’inizio della primavera.

Questo rappresenta uno dei vantaggi della scuola speciale: la possibilità di adattarsi alle esigenze dei suoi alunni, cosa non di poco conto, poiché la rigidità della scuola normale, che non consente una effettiva individualizzazione dei percorsi, ha generato spesso l’abbandono scolastico da parte dei figli dei nomadi, che non hanno visto riconosciuti i propri sforzi a causa dell’assenza nel periodo cruciale degli scrutini.

Fondamentale si era rivelato poi il ruolo della scuola a tempo pieno nel sopperire a carenze dovute alla situazione economica precaria, che portava a utilizzare il bambino come aiuto nel sostentamento economico della famiglia, e quindi a toglierlo dalla scuola. Come sottolinea la Karpati, a Trento, a Milano, a Reggio Emilia, dove era stata fatta la scuola a tempo pieno, il problema della sussistenza non era più grave per la famiglia, perché il bambino, appena arrivato a scuola la mattina, riceveva il pane e il latte, a mezzogiorno il pranzo completo, e alla sera, prima di andare a casa, ancora una merenda abbondante33, e di conseguenza i genitori ritenevano vantaggioso per il benessere del bambino e del resto della famiglia mantenerlo a scuola. Questo servizio dovrebbe esistere in ogni zona d’Italia in cui frequentino le scuole bambini provenienti da famiglie con problemi socioeconomici notevoli.

Nonostante tutto, comunque, già nel 1971, secondo Mirella Karpati, le scuole Lacio Drom avevano subito un processo di degradazione, dovuto al calo di aspettative nei confronti dei bambini zingari verificatosi in alcuni loro maestri e alla perdita di fiducia in questa scuola da parte dei genitori zingari. Questi le consideravano come scuole di seconda categoria e perciò soprattutto i Sinti dello spettacolo viaggiante non vi mandavano più volentieri i loro figli34. Inoltre, pare che la frequenza alle scuole comuni risultasse più regolare.

Alcuni insegnanti di scuole Lacio Drom si erano sempre preoccupati di tenere le porte spalancate35 perché la curiosità avvicinasse gradualmente i bambini, gli insegnanti e i genitori gagé a questi bambini diversi. Erano molto motivati a cercare la strategia per portarli ad un inserimento senza traumi, senza cocenti sconfitte e delusioni per il bambino e senza spiacevoli sorprese per l’insegnante che avrebbe dovuto seguirlo36, ma non credevano che si potesse risolvere il problema della discriminazione solo con una spiegazione al fututo insegnante, tre giorni prima dell’inizio della scuola, di tutto un particolare modus vivendi, che sfuggiva ancora ai maestri Lacio Drom dopo tanti anni di insegnamento a questi bambini, facendo loro ancora commettere tanti errori37.

Nel 1974 si modificò la convenzione fra Opera Nomadi e Ministero della Pubblica Istruzione, decidendo di mantenere le 60 classi Lacio Drom esistenti finché ogni singolo scolaro non fosse pervenuto al livello di maturazione necessaria all’inserimento nelle classi comuni, “conservando le classi speciali con una funzione specifica di recupero degli alunni zingari e nomadi che presentino un notevole ritardo scolastico e abbiano una frequenza troppo irregolare a causa della vita nomade”38. Ma si era già notato che esperienze di inserimento precoce in classi comuni – meglio ancora nella scuola materna – davano migliori risultati di adattamento della permanenza nelle classi speciali39.

L’eliminazione delle ultime classi Lacio Drom avvenne nel 1982 con la firma di una nuova convenzione fra Ministero della P.I. e Opera Nomadi che stabiliva che i fanciulli zingari e nomadi in età d’obbligo scolastico venissero da allora in poi inseriti in classi comuni e che prevedeva l’utilizzo degli insegnanti di sostegno al fine di agevolare l’inserimento scolastico degli alunni zingari in difficoltà40. Questa convenzione introdusse un elemento negativo forse non previsto: mentre i primi inserimenti di bambini nelle classi comuni prevedevano l’affiancamento delle insegnanti Lacio Drom, specializzate e motivate, ora il ruolo di tali maestre diviene un ruolo ad esaurimento, e “il loro posto viene preso da insegnanti di sostegno, preparate sì, ma per le problematiche dei bambini handicappati”41.

Solo dopo il 1986 la circolare ministeriale 207 prevederà la possibilità di sostituire l’insegnante di sostegno con una insegnante della Dotazione Organica Aggiuntiva.

2.5 Altre scuole speciali per zingari in Europa…

Anche in Germania nel 1962 funzionavano scuole speciali sperimentali simili a queste, dette Schulkindergarten. Si trattava di scuole preparatorie, nate per iniziativa della Missione Interna e proposte alle amministrazioni locali, come ci testimonia Renate Mayer42. In modo simile sorsero in Spagna le prime 150 escuelas puente, promosse dall’allora Secretariado Nacional Gitano, oggi Asociación Secretariado General Gitano, grazie a una convenzione del 1978 fra l’Apostolado Gitano della Comisión Episcopal de Migraciones e il Ministero di Educazione e Scienza. Il preambolo della convenzione dice: “L’Apostolado Gitano sta realizzando un grande compito a favore dell’incorporazione dei bambini gitani nelle scuole comuni. Ma ci sono circostanze nelle quali è necessario mettere previamente i bambini gitani in condizioni minime per questa meta della loro integrazione nelle scuole ordinarie nazionali”43.

Le escuelas puente erano situate nei quartieri di vita dei gitani e, come fu denunciato dall’associazione degli Enseñantes en Escuelas Gitanas, non svolsero la funzione di ponte: gli zingari continuavano a scolarizzarsi solo in esse, e le autorità pubbliche erano colpevoli di tollerare tale segregazionismo e di non favorire l’entrata nelle scuole comuni. Allora quasi la metà della popolazione gitana in età scolare era fuori dal Sistema Educativo44.

Già nell’anno scolastico 1983-84 si era attivata l’educazione compensatoria per quelle zone geografiche o gruppi di popolazione che, per le loro caratteristiche speciali, richiedessero una attenzione educativa diversa. Si erano create équipes di supporto per seguire la scolarizzazione dei bambini zingari e della popolazione emarginata, programmi di insegnamento itinerante, educatori di strada, corsi di formazione e perfezionamento per gli insegnanti in tutta la Spagna.

Nel 1986 la nuova Legge Organica del Diritto all’Educazione (LODE) eliminò i Patronati, che sostenevano le necessità materiali delle escuelas puente. Alcune di queste continuarono a funzionare anche dopo l’entrata in vigore della LODE, “ubicate nei posti peggiori, dove i gitani vivevano in una situazione disumana e gli alunni che le frequentavano provenivano da ambienti sociali emarginati, ossia quelli che non erano stati capaci di integrarsi nelle scuole normali o, che per le loro particolari situazioni, avrebbero provocato nella scuola troppi conflitti”45. Ad esempio a Madrid, la scuola pubblica Maria Pascual nell’abitato gitano di La Celsa continuava ad esistere ancora nel 1989, perché il Ministero aveva deciso che sarebbe stata chiusa quando non sarebbero più esistite baraccopoli nella zona, e si sarebbero potuti inserire i bambini nelle scuole vicino alle nuove case46. Lavorava in questa scuola un gruppo di professori molto impegnati nell’innovazione pedagogica e nella sperimentazione di nuovi metodi di insegnamento e di curricoli più adatti ai bambini gitani.

L’associazione Secretariado General Gitano nel suo rapporto47 sulle escuelas puente indica nei seguenti i principali vantaggi che la loro istituzione aveva portato:

  • tali scuole contribuirono a favorire il processo di scolarizzazione dei bambini zingari;
  • fu grazie ad esse chemolti insegnanti iniziarono a preoccuparsi dell’educazione dei bambini zingari e si “specializzarono” nell’insegnamento ad un settore della popolazione finora trascurato;
  • le escuelas puente erano situate nelle stesse baraccopoli dove vivevano i bambini che le frequentavano: ciò consentiva la valorizzazione della relazione scuola-ambiente; inoltre, permetteva agli insegnanti di conoscere l’ambiente a cui si rivolgevano e le famiglie dei bambini;
  • le escuelas puente rappresentarono un modello educativo diverso e uno sforzo per rispondere a un problema in situazioni concrete a cui il sistema scolastico esistente non dava alcuna soluzione.;
  • sia negli orari, sia nella struttura e nel funzionamento della classe le escuelas puente erano più flessibili delle scuole normali;

Non mancano gli svantaggi, fra i quali lo stesso Secretariado Gitano annovera:

  • il fatto che tali scuole mancarono al loro compito di essere puente (ponte): i bambini zingari, infatti, continuavano ad essere iscritti ad esse per vari motivi anche dopo la LODE;
  • le scuole erano situate in prefabbricati o baracche48: luoghi simili a quelli in cui i bambini vivevano, d’altronde, ma i Patronati scolastici avrebbero dovuto preoccuparsi di garantire uno standard più alto di salubrità;
  • l’esistenza delle escuelas puente servì in più occasioni come “scusa” per non ammettere i bambini alle scuole ordinarie: un modo per camuffare la segregazione razzista.

2.6 1981: l’ingresso dei bambini zingari nelle scuole comuni in Italia

In Italia il Ministero della Pubblica Istruzione, dopo i primi inserimenti di bambini zingari nelle scuole comuni, promuove uno studio del Comitato verticale n. 6 su Rapporti scuola e minoranze linguistiche.

In seguito il Ministero, tenuto conto della normativa di cui all’art. 3 della Costituzione della Repubblica (sulla pari dignità sociale dei cittadini e il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza), all’art. 6 (sulla tutela delle minoranze linguistiche) e all’art. 34 (sulla scolarità gratuita come diritto e dovere di tutti), nonché tenuto conto di alcune pronunce significative di Organismi Internazionali quali l’ONU e il Consiglio D’Europa, in ordine alla protezione delle minoranze etniche e delle difficoltà e ostacoli che si frappongono ad una regolare ed efficace scolarizzazione dei giovani Rom, con Raccomandazione del 14/04/198149 afferma che è necessario e doveroso:

  1. promuovere la formazione specifica del personale di sostegno agli alunni Rom da attuarsi stanziando fondi speciali agli Istituti Regionali di Ricerca Sperimentazione e Aggiornamento Educativo (Irrsae) delle Regioni con più personale;
  2. trovare incentivi per tale personale, affinché si possa dedicare in modo non precario a tale compito specifico di sostegno anche in classi propedeutiche, all’insegnamento in corsi per adulti, all’insegnamento presso gruppi nomadi;
  3. predisporre misure per formare maestri Rom, in quanto più idonei a contribuire alla salvaguardia del retaggio culturale e dell’identità etnica e per l’insegnamento agli adulti.
  4. prevedere l’insegnamento della lingua romani e nella lingua romani, se vi è il personale qualificato a farlo.

5.2 La questione dello “svantaggio”

In sostanza, questa circolare introducendo l’utilizzo degli insegnanti di sostegno, in sostituzione agli insegnanti Lacio Drom, di fatto pone i bambini zingari nella categoria dei soggetti dell’educazione speciale, equiparando quindi quello che è un ritardo scolastico dovuto a situazioni socioculturali ed economiche ad un ritardo mentale.

Un collaboratore dell’UNICEF di Firenze, Sandro Costarelli50, ritiene preoccupante l’aumento nella pratica di scolarizzare i minori zingari in istituzioni (come avviene in ex Cecoslovacchia e ex Jugoslavia) o con personale e metodologie (come invece ha luogo tuttora in Francia e Italia) utilizzati per quelli mentalmente disabili.

Il Rapporto di sintesi della Commissione delle Comunità Europee La Scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti51, curato dal prof. Liégeois del Centre de Recherches Tsiganes, sottolinea la grave incidenza di questo problema nei vari paesi europei.

  • In Germania Federale, dove la percentuale di bambini zingari scolarizzati è una delle più alte d’Europa, un gran numero di bambini Sinti di Brema frequenta classi specializzate per bambini handicappati e quasi tutti rischiano di esservi mandati;
  • Nel Regno Unito si sono avute rimostranze sul fatto che, in modo sproporzionato, molti alunni appartenenti ad una minoranza etnica sono stati collocati nelle scuole speciali;
  • In Irlanda nel caso dei bambini viaggianti, le classi speciali vengono costituite in base alla sola identità culturale, senza valutazione medico-psicologica;
  • Sulla Francia la rivista sindacale degli insegnanti – L’école liberatrice, n. 17, 1979 – fornisce queste cifre:
  • 65% dei bambini zingari non frequentano la scuola;
  • 80% di quelli scolarizzati si trovano in classi per handicappati sociali;
  • 75% di tasso di assenteismo non giustificato (?);
  • 71% dei bambini rappresentano “casi” di disfunzioni di linguaggio e comportamento;
  • In Ungheria i bambini zingari ottengono deroghe all’iscrizione per “immaturità scolastica”, iniziando così la scuola a 8-9 anni, e negli accampamenti vi sono scuole di “complemento”, che sono centri d’accoglienza psicopedagogica che si occupano di certificarli come “ritardati”; molti a quattordici anni ottengono l’autorizzazione a non proseguire gli studi;
  • In Italia gli insegnanti che dovevano insegnare nelle scuole Lacio Drom con la Convenzione del 1974 erano tenuti ad essere in possesso di diploma della scuola Magistrale ortofrenica o del diploma di un corso speciale di fisiopatologia dello sviluppo psicofisico del bambini52, nonostante si volesse mitigare la situazione affermando di voler ascrivere le particolari difficoltà di scolarizzazione alla loro appartenenza a una cultura diversa53.

Vi fu negli anni Settanta una diffusione su larga scala di ricerche psicologiche tese a determinare l’intelligenza e lo sviluppo mentale dei gruppi umani, e in Italia la dottoressa Sasso, coordinata dal professor Gutierrez del Pontificio Istituto Salesiano si occupò di sottoporre a test non verbali e calibrati anche i bambini zingari. Si riscontrò un ritardo di sviluppo di due anni e una stasi dell’apprendimento al 13° anno, lo stesso che Erikson aveva rilevato per gli Indiani d’America. Seguirono a questi dei test proiettivi e in seguito sondaggi tra gli insegnanti, che rivelarono lo scarso interesse della scuola per la diversità culturale54.

Nel 1981 il Ministero della Pubblica Istruzione commissionò alla dottoressa Karpati la direzione di una ricerca sulla Scolarizzazione dei bambini zingari in età dell’obbligo, ricerca interdisciplinare cui parteciparono anche Claudio Marta, Giulio Soravia, Carla De Cesare e Secondo Massano. Stefania Guerra Lisi applicò ad un gruppo di bambini zingari la metodologia della globalità dei linguaggi ed i risultati, fra cui quelli relativi alle aspettative dei genitori zingari, furono interpretati in chiave pedagogica.

Il Ministero riconobbe la diversità culturale dei bambini zingari e nel 1983 avviò una ricerca-sperimentazione per individuare una metodologia specifica di insegnamento, strutturata per unità didattiche. Nella prima fase la ricerca fu diretta a Padova dal docente di pedagogia sperimentale Sergio Baratto e coordinata da Albachiara Zanatta e Salvatore Schembri e fece perno su materiale didattico proposto da Laura Bissaro. La seconda fase, nel 1984, fu diretta da Mirella Karpati con materiale di Maura Amadei e Carmela Mastrangelo. Ma la sperimentazione risultò un fallimento, perché i maestri non applicarono i materiali con sistematicità. Ne emerse che, nelle scuole comuni, non vi sono tempo, strumenti o competenze per applicare una didattica specializzata per soli zingari.

Secondo Andrea Canevaro55, docente di pedagogia speciale all’Università di Bologna, in quel periodo “è stato fatto per varie situazioni un gran ricorso all’educazione speciale perché è servita e serve come binario di scambio, che consente all’educazione di non ripensarsi, di non rimettersi in gioco; ed è servita a costruire delle teorie pedagogiche speciali, costruite non tanto come risposte specifiche, quanto come corpi separati”. Sempre Canevaro ribadisce che l’introduzione del diverso nell’orizzonte educativo può essere vista come sollecitazione ad elaborare un nuovo codice culturale; quindi a produrre cultura, e non a ripeterla e che quando in Italia si iniziò a parlare di scuola a tempo pieno, in essa si vedeva la possibilità di integrazione dei bambini diversi, per la loro diversità riconosciuta e valorizzata, ma la struttura scolastica, per le sue caratteristiche di rigidità, linearità e progressività – nonostante il modello di tale scuola sia da tempo in crisi – preferì sempre risolvere il conflitto generato dal diverso tentando di adattare il bambino alla sua struttura preordinata, ossia costringendo il bambino a scegliere fra il raggiungere i risultati preformati o l’essere espulso dalla scuola “normale” e dalla società dei “normali”.

Verso questo percorso separato venivano dirottati non solo i bambini che presentassero un handicap più o meno grave, ma anche tutti quelli che Andrea Canevaro nel noto volume I bambini che si perdono nel bosco comprende nella categoria di Biancaneve sempre prigioniera: quei soggetti che sono “portatori di un’originalità che non può venir negata se non annullandone ogni significato”, ma che “frequentano classi da cui non usciranno sapienti ma solo umiliati”56. La categoria comprende anche i bambini che vivono in istituti o case di accoglienza (con l’attenuante forse che si fa riferimento agli istituti dell’anno 1976), quelli con problemi psichiatrici o anche quelli che vivono nei quartieri operai, periferie o centri storici degradati, i minorati sensoriali e, aggiungerei, anche proprio molti bambini zingari.

1NARCISO L., La maschera e il pregiudizio, la storia degli zingari, ed. Melusina, Roma 1990, pag. 159

2REEMTSMA, in LIEGEOIS J.P., La Scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti, Rapporto di sintesi, Commissione delle Comunità Europee, Lussemburgo 1987, pag. 74

3Ibidem, pag. 74

4KARPATI M., Zingari ieri e oggi, edizioni Lacio Drom, Roma, 1993, pag. 45

5FLEURY J., Lo sterminio nazista degli zingari, in “Lacio Drom”n. 3/1969, pagg. 22-23

6AA.VV., Bambini zingari nei lager, edizioni Quaderni Zingari, n. 38, Torino, 1992, pag. 16

7Cfr. AA.VV., Bambini zingari nei lager, edizioni Quaderni Zingari, n. 38, Torino, 1992, pag. 19

8KARPATI M., Il nazismo e lo sterminio degli zingari, in “Lacio Drom” n. 3/1965, pag. 18

9Cfr. KARPATI M., Zingari ieri e oggi, edizioni Lacio Drom, Roma, 1993, pag. 61

10KARPATI M., op. cit., pag. 61

11Cfr. DICK ZATTA J., Gli zingari, i Roma, una cultura ai confini, Taccuini Dossier – Ed. allo sviluppo, CIDI, Padova, 1988

12KARPATI M., op. cit., pag. 48

13POLIAKOV L., Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, pag. 359

14Cfr. conferenza di J.J. OEHLÉ in LIEGEOIS J.P., La scolarizzazione dei bambini zingari: La valutazione delle azioni innovative, in “Lacio Drom” n. 2-3/1988, pag. 18

15Jenisch è la denominazione di un gruppo nomade di origine tedesca.

16Cfr. KARPATI M., op. cit., pag. 29

17KARPATI M., op. cit., pag. 29

18Brano tratto dalla conferenza di J.J. OEHLÉ in LIEGEOIS J.P., La scolarizzazione dei bambini zingari: la valutazione delle azioni innovative, in “Lacio Drom” n. 2-3/1988, pag. 19

19Cfr. l’articolo a cura dell’Istituto, Badia Polesine: Istituto per fanciulli Sinti. Uguali fra gli uguali, in “Biancoenero”, gennaio 1994, pag. 7

20CATTANEO M.G., Badia Polesine: Istituto per fanciulli Sinti. Noi gagi non siamo i migliori, in “Biancoenero”, marzo 1994

21TORREGGIANI D., Badia Polesine: un’esperienza educativa, in “Lacio Drom” n. 4-5-6/1967, pag. 35

22TORREGGIANI D., ibidem, in “Lacio Drom” n. 4-5-6/1967, pag. 35

23Ibidem, pag. 37

24CATTANEO M.G., Badia Polesine: Istituto per fanciulli Sinti. Noi gagi non siamo i migliori, in “Biancoenero”, marzo 1994

25Istituto per Fanciulli Sinti (a cura di), Badia Polesine: Istituto per fanciulli Sinti. Uguali fra gli uguali, in “Biancoenero”, gennaio 1994, pag. 7

26KARPATI M., Fini e problemi delle scuole speciali Lacio Drom, in “Lacio Drom” n. 6/1970

27Il nome, che significa “buon cammino”, fu proposto dal Direttore Generale dell’Istruzione Elementare, professor Salvatore Accardo.

28GANZERLI M., La scuola degli zingarelli: realtà e speranze, in La prima delle scuole Lacio Drom, in “Lacio Drom” n. 4/1966, pag. 37

29GANZERLI M., La scuola degli zingarelli: realtà e speranze, in La prima delle scuole Lacio Drom, in “Lacio Drom” n. 4/1966, pag. 39

30Dal Rapporto sulle scuole Lacio Drom nell’anno 1972/73 in “Lacio Drom” n. 6/1973, pag. 24, risulta in Italia che vi sarebbero state classi Lacio Drom nelle seguenti sedi: “Bologna (1), Bolzano (1), Catanzaro (3), Lamezia Terme (1), Crotone (1), Cuneo (1), Alba (1), Prato (2), Lucca (2), Milano (3), Modena (1), Pescara (4), Pistoia (1), Reggio Calabria (6), Gioia Tauro (2), Melito Porto Salvo (1), Brancaleone (1), Reggio Emilia (4), Roma (5), Badia Polesine (2), Giulianova di Teramo (2), Sant’Egidio alla Vibrata di Teramo (1), Torino (2), Pinerolo (1), Trento (2), Trieste (1), Udine (3), Venezia (1), Verona (2), Vicenza (1).

31KARPATI M., La situazione delle scuole per nomadi in Italia, in “Lacio Drom” n. 4-5-6/1967, pag. 27

32cfr. KARPATI M., ibidem, pag. 27

33Cfr. KARPATI M., ibidem, pag. 29

34Cfr. KARPATI M., La scolarizzazione dei ragazzi zingari. L’esperienza italiana, in “Lacio Drom” n. 3/1979, pag. 43

35GRISELLI L., Gli interessi degli alunni zingari. Inserimento in classi comuni, in“Lacio Drom” n. 6/1973, pag. 33

36GRISELLI L., art. cit., pag. 33

37GRISELLI L., art. cit., pag. 33

38Convenzione del 1974 in LIEGEOIS J.P., La Scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti, rapporto di sintesi, Commissione delle Comunità Europee, Lussemburgo 1987, pag. 73

39KARPATI M., La scolarizzazione dei ragazzi zingari. L’esperienza italiana, in “Lacio Drom” n. 3/1979, pag. 44

40Cfr. AMADEI et al., Un omnibus per i Rom: note per la didattica in presenza di alunni zingari, Coop. Editrice Il Ventaglio, Roma 1994, pag. 69

41Ibidem, pag. 68

42cfr. MAYER R., L’esperienza scolastica in Germania, in “Lacio Drom” n. 4-5-6/1967, pagg. 100-102

43Asociación Secretariado General Gitano, Informe sobre la escolarización de los niños gitanos en España, Madrid, 1988, pag. 120

44Cfr. La escuela puente para niños gitanos, studio elaborato dall’Istituto di Sociologia Applicata di Madrid per incarico del Secretariado Nacional Gitano, ed. SNG ,Madrid 1982

45Asociación Secretariado General Gitano, Informe sobre la escolarización de los niños gitanos en España, Madrid, 1988, pag. 122

46Cfr. ASOCIACIÓN PRESENCIA GITANA, La escolarización de los niños gitanos y itinerantes en España: informe ante la Comisión de las Comunidades Europeas, Madrid, 1989, pag. 154

47Asociación Secretariado General Gitano, Informe sobre la escolarización de los niños gitanos en España, Madrid, 1988, pag.122-124

48L’ex insegnante Nieves Salaverri, monaca orsolina, mi raccontò come ella stessa nel 1977 si accordò con le famiglie dei chabolistas (baraccati), che vivevano abusivamente a Oviedo, per farsi costruire una baracca da adibire a scuola riconosciuta dal Ministero. Ossia, il Ministero delegò molto alla buona volontà dei suoi dipendenti, non sostenendoli nemmeno per quanto riguarda l’aspetto essenziale delle strutture, che sicuramente non rientrava fra i compiti dei maestri.

49Raccomandazione del 14/04/1981 del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, in Raccolta di leggi e circolari volume 1, supplemento alla rivista “Zingari Oggi” n. 6/1987, edizioni Quaderni Zingari, Torino, 1987, pag. 41

50Cfr. UNICEF – ICDC, Crescere zingaro, Anicia 22, Firenze, 1993, pag. 81

51LIEGEOIS J.P., La Scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti, Rapporto di sintesi, Commissione delle Comunità Europee, Lussemburgo, 1987

52PIASERE, pag. 76

53Convenzione del 1982, art. 1

54KARPATI M., Zingari e scuola: venticinque anni di un difficile rapporto, in “Lacio Drom” n. 6/1989, pag. 15

55CANEVARO A., I bambini che si perdono nel bosco: identità e linguaggi nell’infanzia, La Nuova Italia, Scandicci (FI), 1976, decima ristampa 1997, pagg. 79-82

56Ibidem, pag. 69

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 8 settembre 2010 da in libertà.

La mia tesi è libro: info qui

Archivi