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….chi abbraccerà i nostri fratelli, quando arriveranno?

14639891_649045558597806_6541343987596525834_nSe vi capiterà di approdare sull’isola sappiate che sorriderete molto, ma anche che ve ne andrete commossi e che piangerete in molte occasioni durante il soggiorno ed anche mesi dopo, perchè l’esperienza sarà emozionante e forte. E che incontrerete persone talmente incredibili e intensamente umane come forse non ne avete incontrate prima.

Ho già raccontato cosa succede nell’isola di Chios, cui sono approdata l’agosto scorso.  E cosa effettivamente si può fare lì per aiutare i rifugiati.

Avevo conosciuto ma di fretta qualcuno degli uomini e delle donne di Salvamento Maritimo Humanitario, essenziali, lì, perchè si occupavano dei salvataggi in mare, quindi sono molto occupati ma presenti anche per fare lezioni di nuoto la mattina a donne e bambini rifugiati.

La loro decisione associativa di lasciare ora l’isola di Chios mi ha colpito come un pugno, ma sono consapevole che non posso essere sconvolta dalla cosa quanto chi ha lavorato con loro per un anno intero, tanto è il tempo che sono rimasti, ed ha molto più di me da raccontare.

La prima testimonianza che riporto è quella di una volontaria portoghese:

 “La prima volta che sono incappata in uno di loro è stato a gennaio nella spiaggia di Megas Limnionas, nell’isola di Chios, Grecia. Era il mio primo giorno con CERST e mi stavano mostrando dove stavano i materiali. Lui camminava con la tuta da sub ancora indosso, finiva il turno di notte. L’ho salutato in spagnolo e mi ha guardato sorpreso. Come stai? gli ho chiesto. E mi ha risposto solo Sono congelato fino alle palle, con un mezzo sorriso.

Più tardi ho saputo che era stata una brutta notte (o buona? questo non è mai così chiaro, a Chios) con molti bambini recuperati nel freddo e nell’oscurità, salvati dalla barca, dalle grinfie della tormenta. E anche che, oltre che congelato e stanco, il collega di SMH era talmente scosso che quando era arrivato al suo letto non aveva potuto dormire se non dopo un paio d’ore, perchè piangeva pensando ai suoi figli.

E’ stato così l’inverno di SMH: salvataggi ogni notte, tutta la notte, ogni giorno allenamento per i propri volontari (che sono professionisti del salvataggio in mare e medici) e per volontari senza esperienza come noi. Ordinati e disciplinati sempre, anche se ogni 15 giorni il gruppo cambiava. I pianti e le arrabbiature, chiusi nel privato della loro casetta affittata, che era anche il loro quartiere generale, la loro torre di guardia e il rifugio di fronte all’inumanità dell’Europa.

Quando a marzo entrò in vigore il nefasto trattato UE-Turchia e i canotti cominciarono a diminuire seppero vedere prima degli altri i rischi che stava correndo la popolazione nei tre campi per rifugiati e oltre al salvataggio in mare si dedicarono alla cura di corpi e anime in terraferma.

Le altre ONG cominciarono ad andarsene dall’isola, alcune per protestare contro il nuovo accordo UE-Turchia, altre per stanchezza, altri per la noia, privati dell’adrenalina che danno salvare masse di persone, le grida nel buio e nella violenza del mare. La stessa situazione veniva affrontata dai volontari di SMH senza lamenti e con coraggio, portandosi a casa poi ricordi da incubo.

Non smisero di pattugliare la costa nemmeno un giorno e nemmeno una notte. Nonostante le minacce delle autorità di frontiera, degli agenti di pattuglia che sapevano di essere osservati e controllati da loro, cui è stato chiesto perchè non fossero venuti in tempo per aiutare i rifugiati in pericolo, e nemmeno consentissero a SMH di intervenire.

Non hanno smesso di andare nei campi nemmeno un giorno, nonostante alle agenzie ufficiali desse fastidio che la “squadra dei baschi” fosse lì a intervenire ovunque lasciassero inattesi dei bisogni.  Nascite, ferite, lo screening della tubercolosi, vaccinazioni, si sono occupati di tutto. A aprile procurarono una sedia a rotelle nuova per una persona paralizzata dalla vita in giù, la comprarono contribuendo coi loro soldi. La ragazza, che non è più a Chios, li ricorda sempre come i suoi angeli baschi che non volevano darle nuove ruote, ma ali.

Tutti i rifugiati li adorano. I bambini e le bambini che forse sono stati salvati dal mare da loro li rincorrono, disegnano la loro ambulanza gialla nei loro disegni; con le loro lezioni di nuoto gli hanno fatto passare anche la paura del mare. Gli adulti, come si fa in Medio Oriente, gli baciano letteralmente le mani, li salutano augurando loro pace (Salam!), li invitano a prendere un teh e trovano in loro ascolto ed un abbraccio.

Per quelli del CESRT, SMH è la nostra famiglia, come lo sono anche quelli dell’associazione Zaporeak. Tre organizzazioni che lavorano unite. Come fratelli.

Ma i ragazzi di SMH sono da noi associati alla definizione di eroe. Professionali ma umili. Critici implacabili quando le cose non vengono fatte o sono fatte male, ma sempre disposti a lavorare con chi vuole lavorare seriamente. Filantropi nel senso più profondo del termine. Forti e resistenti come solo un basco può essere, teneri e dolci con quelli che sanno toccare i loro cuori. Impegnati, presenti, solidali.
SMH, i baschi (tutti loro vengono considerati baschi a Chios, anche quelli che non lo sono), le loro azioni dimostrano agli altri lavoratori e agli operatori umanitari cosa significa “umanitario” ed alle autorità evidenziano le loro mancanze e miserie burocratiche, mostrano ai rifugiati il volto dell’amore, della solidarietà e del rispetto dei diritti umani.

E ora se ne vanno con discrezione. Me ne sono accorta ieri quando ho iniziato a vedere i messaggi sui social, da tutte le parti del mondo, da volontari e rifugiati: Non possono andare via... Sono necessari…. Mi hanno abbracciato e riportato sulla terraferma… chi abbraccerà i miei fratelli quando arriveranno?….

I miei compagni al CESRT sono devastati, sebbene siano gente forte. Perchè sono orfani, senza SMH. Solo dà sollievo pensare che torneranno dopo una pausa di riflessione, per mostrare ai nostri fratelli rifugiati non tutto il mondo li ha abbandonati, che non tutta l’Europa si è dimenticata di loro”.

E ancora la testimonianza di un volontario scozzese, Andy:

“Ho conosciuto SMH a gennaio, ho aspettato con loro, guardando col binocolo nel freddo e nel buio, spaventati quando una barca si avvicinava alla costa rocciosa. I volontari di SMH sono una fonte di sicurezza e fiducia, lo sono sempre stati. Hanno fornito a molte persone disperate supporto salvavita in mare, sulle coste, nei campi per rifugiati.  Sono professionali e umili.

Lasciano l’isola e lasciano un enorme vuoto nel cuore di quelli che hanno aiutato. Ma offrono un servizio che l’Unione Europea non vuole. La loro presenza medica nei campi evidenzia semplicemente l’inadeguatezza delle squadre mediche deputate e pagate per questo servizio dalle ONG.  La loro presenza in mare limita le forze internazionali della legge e dell’ordine che non si comportano secondo le leggi, le loro competenze nel salvare vite umane fanno notare la dura verità, cioè che la Guardia Costiera greca non ha interesse a salvare la vita ai rifugiati”.

Il comunicato stampa di SMH dice:
“Arrivederci Chios.

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Questa voce è stata pubblicata il 3 novembre 2016 da in diritti umani, libertà, refugees, Siria, Turchia.

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